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Il 31/12/2022 è entrato in vigore il D.lgs. 201/2022 (pubblicato sulla G.U. del 30/12/2022, n. 304) sul riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica.

Si tratta dell’ennesimo tentativo di riforma che ha interessato tutti i governi italiani dell’ultimo decennio, dal governo Berlusconi II e IV, al governo Prodi, II fino al governo Renzi.

Questa volta però c’era una motivazione in più che ha consentito di portare a casa il risultato, cioè la circostanza che l’ex governo Draghi si sia impegnato con la Commissione europea, nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (in c.d. PNRR), ad approvare il riordino entro la fine del 2022.

Si tratta di un riordino, più che di una vera e propria riforma, che è stato definito “timido” e che, come sempre, anziché semplificare, porterà ad una maggiore complicazione e ad ulteriori oneri a carico degli Enti locali, soprattutto in materia di analisi a supporto della scelta della forma di gestione e in tema di monitoraggio e controllo degli affidatari (aspetti, questi ultimi, per i quali gli Enti locali sono spesso privi delle competenze aziendalistiche necessarie).

Prima di approfondire i vari aspetti contenuti nel decreto è utile concentrarsi sulla definizione di “servizi pubblici locali di rilevanza economica”, che lo stesso decreto all’art. 2, comma 2, let. c) definisce come “i servizi erogati o suscettibili di essere erogati dietro corrispettivo economico su un mercato, che non sarebbero svolti senza un intervento pubblico o sarebbero svolti a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che sono previsti dalla legge o che gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, ritengono necessari per assicurare la soddisfazione dei bisogni delle comunità locali, così da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale”.

L’oggetto e gli obiettivi del D.lgs. 201/2022

Il nuovo decreto ha come oggetto la disciplina generale dei servizi di interesse economico generale locali ed ha l’obiettivo di fissare i princìpi comuni per raggiungere e mantenere un alto livello di qualità, sicurezza e accessibilità dei servizi, la parità di trattamento e l’accesso universale ai medesimi da parte degli utenti, garantendone i relativi diritti e assicurando l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale e territoriale.

Le disposizioni del nuovo decreto devono essere applicate a tutti i servizi di interesse economico generale prestati a livello locale e sono “integrative” delle normative di settore che regolano i singoli servizi (per esempio, il D.lgs. 152/2006 in materia di servizio idrico e in materia di gestione dei rifiuti urbani, il D.lgs. 422/1997 sul trasporto pubblico locale, ecc.).

Quindi, le disposizioni del nuovo decreto sono volutamente generali e, in caso di contrasto, le stesse comunque prevalgono su quelle di settore, salvo che non siano previste specifiche derogate (cosa che nel testo del decreto accade molto spesso).

I princìpi da garantire nell’istituzione, regolazione e gestione dei servizi

L’art. 3 del decreto fissa i princìpi che devono essere garantiti nell’istituzione, regolazione e gestione dei servizi di interesse economico generale di livello locale:

  • il principio di concorrenza;
  • il principio sussidiarietà, anche orizzontale;
  • l’efficienza nella gestione;
  • l’efficacia nella soddisfazione dei bisogni dei cittadini;
  • lo sviluppo sostenibile;
  • la produzione di servizi quantitativamente e qualitativamente adeguati alle necessità degli utenti;
  • l’applicazione di tariffe orientate a costi efficienti;
  • la promozione di investimenti in innovazione tecnologica;
  • la proporzionalità e adeguatezza della durata dell’affidamento del servizio;
  • la trasparenza delle scelte compiute dalle amministrazioni e sui risultati della gestione.

La revisione degli ambiti territoriali ottimali

Uno dei primi temi affrontati dal nuovo decreto è quello della revisione degli ambiti territoriali ottimali e di una spinta verso dimensioni maggiori di quelle attuali; in particolare, l’art. 5 del decreto contiene previsioni che:

  • incentivano le Regioni a rivedere l’organizzazione degli ambiti territoriali ottimali, spingendole preferibilmente verso una scala regionale o comunque tale da consentire economie di scala o di scopo, idonee a massimizzare l’efficienza del servizio;
  • attribuiscono alle Città metropolitane la possibilità di esercitare per conto dei Comuni le funzioni attribuite loro dalla legge, in modo da favorire la gestione integrata sul territorio dei servizi pubblici locali di rilevanza economica;
  • attribuiscono alle Province un ruolo di supporto tecnico-amministrativo e di coordinamento.

Non si tratta però di obblighi veri e propri, ma di una sorta di “moral suasion” esercitata nei confronti di Regioni, Province e Comuni, che probabilmente non sortirà l’effetto sperato. Forse una spinta significativa potrà venire dalle misure incentivanti in favore degli Enti locali che aderiranno alle riorganizzazioni e alle aggregazioni, che dovrebbero essere approvate dal Ministero dell’economia e delle finanze entro la metà del prossimo mese di febbraio.

La distinzione fra chi gestisce e chi controlla i servizi “a rete”

Il D.lgs. 201/2022 prevede all’art. 6 una netta separazione fra le funzioni di regolazione, di indirizzo e controllo e quelle di gestione dei servizi pubblici locali “a rete”, intendendo per tali i servizi suscettibili di essere organizzati tramite reti strutturali o collegamenti funzionali necessari tra le sedi di produzione o di svolgimento della prestazione oggetto di servizio.

La separazione viene garantita dal divieto per gli enti di governo dell’ambito e per le Autorità specificamente istituite per la regolazione e il controllo dei servizi pubblici locali di partecipare, sia direttamente che indirettamente, al capitale dei soggetti incaricati della gestione del servizio.

Si tratta però di una regola generale piuttosto debole, in quanto sono previste diverse eccezioni, fra cui:

  • non si considerano partecipate indirettamente le società formate o partecipate dagli Enti locali ricompresi nell’ambito;
  • gli Enti locali titolari del servizio e a cui spettano le funzioni di regolazione possono assumere anche la gestione del servizio, sia direttamente che per mezzo di un soggetto partecipato, a patto però che le strutture, i servizi, gli uffici e le unità organizzative dell’ente ed i loro dirigenti e dipendenti preposti alle funzioni di regolazione non svolgano alcuna funzione o compito inerente alla gestione e il suo affidamento.

Le inconferibilità degli incarichi

Sempre con la finalità di rafforzare la distinzione fra chi gestisce il servizio e chi esercita la funzione di regolamentazione, indirizzo e controllo, ai commi 4-8 dell’art. 6 del decreto sono stati previsti alcuni casi di “inconferibilità” degli incarichi.

In particolare, non possono essere conferiti incarichi professionali, incarichi inerenti alla gestione del servizio e incarichi di amministrazione o di controllo societario:

  1. ai componenti di organi di indirizzo politico dell’ente competente all’organizzazione del servizio o alla sua regolazione, vigilanza o controllo, nonché ai dirigenti e ai responsabili degli uffici o dei servizi direttamente preposti all’esercizio di tali funzioni;
  2. ai componenti di organi di indirizzo politico di ogni altro organismo che espleti funzioni di stazione appaltante, di regolazione, di indirizzo o di controllo del servizio, nonché ai dirigenti e ai responsabili degli uffici o dei servizi direttamente preposti all’esercizio di tali funzioni;
  3. ai consulenti per l’organizzazione o regolazione del servizio.

Si tratta di inconferibilità che cessano automaticamente decorso un anno dalla conclusione dei relativi incarichi.

Per agli affidamenti in essere al 31/12/2022 l’adeguamento alle nuove disposizioni dovrà avvenire entro il 31/12/2023.

Costi di riferimento e schemi tipo

L’art. 7 del decreto prevede che per i servizi pubblici locali “a rete” le autorità di regolazione sono tenute ad individuare:

  • i costi di riferimento dei servizi;
  • lo schema tipo di piano economico-finanziario;
  • gli indicatori e i livelli minimi di qualità dei servizi;
  • gli schemi di bandi di gara e gli schemi di contratti tipo.

L’art. 8 del decreto, invece, prevede per i servizi pubblici locali “non a rete”, per i quali non opera un’autorità di regolazione, che i suddetti documenti siano predisposti dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

Solo per i servizi non a rete di loro competenza, gli Enti locali possono adottare un regolamento con cui predefiniscono condizioni, principi, obiettivi e standard della gestione, nel rispetto di quanto disposto dal D.lgs. 201/2022, assicurando la trasparenza e la diffusione dei dati della gestione.

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