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(articolo pubblicato sul quotidiano Italia Oggi di venerdì 7 marzo 2014)

I princìpi sanciti nel corso degli ultimi anni dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee in materia di in house providing – modello organizzativo attraverso il quale le Amministrazioni pubbliche possono produrre in proprio o autoprodurre beni, servizi e lavori – sono stati finalmente tradotti in un atto normativo con la recente approvazione da parte del Parlamento europeo della nuova Direttiva sugli appalti pubblici.

L’in house providing nasce nel 1999 con la famosa sentenza Teckal della Corte di Giustizia (causa C-107/98) e le sue peculiarità sono state progressivamente affinate nel corso del tempo dalla giurisprudenza comunitaria. Con l’approvazione della nuova Direttiva sugli appalti pubblici, i princìpi affermati dalla Corte di Giustizia vengono tradotti in un atto normativo che, previo recepimento, finirà per vincolare tutti gli Stati membri della UE.

Per il nostro Stato non è questione di poco conto, in considerazione del fatto che fino a poco tempo fa avevamo una normativa interna (art. 4 del D.L. 138/2011 e art. 4 del D.L. 95/2012) che permetteva il ricorso agli affidamenti in house solo in ipotesi assolutamente residuali. Solo in seguito all’intervento della Corte Costituzionale (sentenza 199/2012) e all’approvazione della recente Legge di Stabilità 2014 (art. 1 comma 562), le limitazioni previste sono state abrogate, facendo così tornare l’in house providing ad essere un modello organizzativo a cui le Amministrazioni pubbliche possono legittimamente ricorrere. E non poteva essere altro che questo l’epilogo, visto che si trattava comunque di previsioni normative in contrasto con la giurisprudenza comunitaria.

Con l’art. 12 della nuova Direttiva vengono messe nero su bianco importanti precisazioni che, in futuro, renderanno ancora più attraente il modello di delegazione interorganica, con buona pace per i fautori delle privatizzazioni ad ogni costo. Per apprezzare l’intervento del Parlamento europeo è necessario ricordare che l’in house providing poggia su tre pilastri fondamentali: (i) il soggetto affidatario diretto deve essere a capitale completamente pubblico, (ii) deve operare prevalentemente con il socio o con i soci pubblici e, infine, (iii) l’ente pubblico affidante deve esercitare nei suoi confronti un controllo analogo a quello esercitato sui propri Servizi interni.

Una prima precisazione della nuova Direttiva riguarda il concetto di “prevalenza”: in pratica, la condizione viene ritenuta soddisfatta qualora oltre l’80% delle attività del soggetto affidatario in house siano effettuate nello svolgimento dei compiti ad esso affidati dall’Amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’Amministrazione aggiudicatrice.

Sul fronte della natura pubblica del soggetto affidatario, la nuova Direttiva introduce una novità di rilievo stabilendo che la condizione è soddisfatta non solo quando non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ma anche, in via eccezionale, quando ci troviamo in presenza di forme di partecipazione di capitali privati, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali in conformità dei trattati, che non comportano controllo o potere di veto, attraverso le quali non può essere esercitata alcuna influenza determinante sul soggetto affidatario in house.

Per quanto riguarda il c.d. “controllo analogo”, la Direttiva precisa che tale condizione risulta soddisfatta qualora l’Amministrazione aggiudicatrice eserciti un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’affidatario in house. L’attività di controllo deve quindi essere sempre più finalizzata a definire preventivamente gli obiettivi a cui l’organismo partecipato deve tendere ed a prevenire problematiche di ordine economico e finanziario, piuttosto che sulla semplice approvazione o presa d’atto dei risultati economico-finanziari della gestione, in momenti in cui, fra l’altro, non è più possibile intervenire sui singoli accadimenti gestionali. Occorre quindi esercitare un controllo di tipo “preventivo” attraverso l’adozione di strumenti di programmazione come business plan, piani industriali, bilanci di previsione annuali, ecc., e un controllo di tipo “concomitante” attraverso la revisione degli Statuti finalizzata a garantire che l’organo amministrativo dell’organismo partecipato non abbia rilevanti poteri gestionali di carattere autonomo e che il socio pubblico eserciti poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, così come affermato dal Consiglio di Stato (sentenza n. 1447/2011).

Vengono poi risolti dalla Direttiva anche i dubbi che esistevano sul concetto del c.d. “controllo analogo indiretto”, in quanto la stessa prevede che il controllo possa essere esercitato anche da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata nello stesso modo dall’Amministrazione aggiudicatrice. E’ il caso, per esempio, delle holding di partecipazioni, che s’interpongono fra l’Amministrazione aggiudicatrice e la società beneficiaria in house, o di alcuni particolari modelli organizzativi di tipo consortile, dove gli enti pubblici esercitano il controllo della società consortile non direttamente, ma attraverso le società consorziate, che a loro volta sono controllate da tali enti.

La Direttiva chiarisce anche le modalità attraverso le quali le Amministrazioni pubbliche in possesso di partecipazioni di minoranza possono esercitare il controllo analogo; in pratica, tali Amministrazioni potranno esercitare il controllo in modo “congiunto” con le altre – così come affermato più volte dal Consiglio di Stato – a condizione che: (i) gli organi decisionali dell’organismo controllato siano composti da rappresentanti di tutti i soci pubblici affidanti, ovvero, da soggetti che possano rappresentare più o tutti i soci pubblici affidanti, (ii) i soci pubblici siano in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative dell’organismo controllato, (iii) l’organismo controllato non persegua interessi contrari a quelli dei soci pubblici affidanti.