(ultimo aggiornamento 09/02/2021)
SINTESI
Le motivazioni che hanno portato le Amministrazioni pubbliche, e in particolare gli Enti locali, ad utilizzare gli strumenti previsti dal Codice civile per lo svolgimento di una parte delle proprie funzioni sono molteplici, alcune opportune e legittime, altre elusive della normativa vigente, se non addirittura illegittime.
Le motivazioni che hanno portato le Amministrazioni pubbliche, e in particolare gli Enti locali, a costituire o partecipare ad organismi disciplinati dal Codice civile (in primis società) sono molteplici. Alcune di queste sono sicuramente positive e servono sicuramente a perseguire in modo migliore gli scopi pubblici. Altre rappresentano invece chiari tentativi di elusione dei divieti esistenti, se addirittura delle vere e proprie violazioni delle stesse.
Fra le motivazioni positive possiamo citare le seguenti:
- ricerca di nuove soluzioni organizzative: è indubbio che il modello societario consente maggiore flessibilità gestionale e, soprattutto, offre la possibilità di assumere decisioni in tempi molto più rapidi rispetto a quanto avviene nell’Amministrazione pubblica, garantendo quindi una maggiore reattività alle necessità di cambiamento;
- possibilità di separare la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali dalla gestione/erogazione del servizio di interesse economico generale (separazione spesso resa obbligatoria dallo stesso legislatore);
- possibilità di effettuare affidamenti diretti a organismi partecipati tramite il meccanismo dell’in house providing: affidando direttamente lo svolgimento di un determinato servizio o fornitura ad un soggetto controllato, l’Amministrazione pubblica ottiene diversi vantaggi, fra cui quello di riuscire a garantirsi un livello qualitativo del servizio o della fornitura adeguato alle proprie esigenze (obiettivo non sempre assicurato con il meccanismo delle gare d’appalto) e quello di mantenere la possibilità di modificare le caratteristiche del servizio o della fornitura lungo tutta la durata del rapporto, per meglio soddisfare le mutate esigenze, senza imbrigliarsi in rigidi contratti d’appalto;
- conseguimento di alcuni vantaggi in materia di imposta sul valore aggiunto: nella maggior parte dei casi le Amministrazioni pubbliche sono considerate dei consumatori finali; pertanto, l’IVA esposta sulle fatture dei fornitori rappresenta una componente della spesa pubblica, in quanto solo raramente le Amministrazioni pubbliche svolgono vere e proprie attività commerciali che consentono la detrazione dell’imposta. Viceversa, le società svolgono normalmente attività commerciali e, pertanto, l’IVA esposta nelle fatture dei fornitori rappresenta un credito nei confronti dell’Erario che, in determinate circostanze e sussistendo determinati presupposti, può essere chiesta anche a rimborso o compensata con il versamento di altri tributi. Per esempio, per realizzare un nuovo edificio scolastico del valore di 1 milione di euro l’Amministrazione pubblica spende 1,1 milioni (1 milione di imponibile e 100 mila euro di IVA). Se la stessa operazione viene fatta da una società partecipata direttamente dall’Amministrazione pubblica che ha come oggetto sociale la realizzazione di investimenti pubblici, i 100 mila euro pagati ai fornitori a titolo di imposta sul valore aggiunto rappresenteranno un credito nei confronti dell’Erario. Si tratta sicuramente di operazioni complesse da gestire e nelle quali occorre prestare molta attenzione per non sfociare nell’elusione della normativa IVA. Per evitare questo è necessario che il vantaggio inizialmente acquisito venga successivamente compensato attraverso lo sfruttamento economico dell’investimento e il versamento dell’IVA all’Erario (per esempio, attraverso la locazione dell’immobile realizzato). Queste operazioni, se ben strutturate, consentono di sfruttare il cash flow generato dal rimborso del credito IVA iniziale per finanziare il completamento dell’opera;
- conseguimento di alcuni vantaggi in materia di IRAP: in questo caso il vantaggio si sostanzia soprattutto nel differenziale fra l’aliquota applicata dalle Amministrazioni pubbliche sulle spese per il personale e quella applicata dalle società e dagli altri enti commerciali.
A fronte di queste motivazioni positive, che hanno portato negli anni le Amministrazioni pubbliche a costituire o partecipare al capitale di società o altri enti disciplinati dal Codice civile, sussistono anche motivazioni negative, che rappresentano veri e propri casi di elusione o violazione di norme vigenti; fra queste possiamo indicare le seguenti:
- elusione dei vincoli imposti dal Patto di stabilità: nel corso degli anni passati diverse Amministrazioni pubbliche si sono avvalse di società ed enti controllati per fare gli investimenti che non potevano realizzare a causa dei vincoli imposti alla spesa pubblica dal Patto di stabilità. Si è trattato di un comportamento che è difficile definire elusivo della normativa allora vigente, in quanto quest’ultima è stata modificata e rivista ogni anno in occasione dell’approvazione della Legge di Stabilità e, in nessuna di queste occasioni, il legislatore è intervenuto su questo tema; anzi, addirittura, a causa della mancata emanazione del decreto attuativo, l’art. 18 comma 2-bis del D.L. 112/2008, che aveva introdotto nel 2009 l’obbligo per le società partecipate dagli enti locali di contribuire al conseguimento degli obiettivi del Patto di stabilità, non ha mai di fatto espletato i suoi effetti ed è stato infine abrogato con la Legge di stabilità per il 2014;
- elusione delle limitazioni previste alla spesa per il personale: anche in questo caso si segnala il tentativo condotto da alcune Amministrazioni pubbliche negli anni passati di aggirare i vincoli imposti alla spesa di personale facendo effettuare nuove assunzioni a società o enti controllati, fino a quando, seppur con un meccanismo poco efficace, si è arrivati all’obbligo di consolidamento della spesa di personale fra Amministrazioni e società controllate;
- assunzioni di personale a chiamata diretta (senza selezione ad evidenza pubblica): si tratta di un comportamento illegittimo che vìola sia l’art. 95 della Costituzione italiana, che stabilisce il principio secondo il quale all’impiego pubblico si accede solo mediante concorso pubblico, che le disposizioni previste dall’art. 18, commi 1 e 2 del D.L. 112/2008, norma poi abrogata dal D.lgs. 175/2016, che ne ha fatti propri i princìpi;
- affidamento diretto di lavori, servizi e forniture (senza selezione ad evidenza pubblica): si tratta di un comportamento illegittimo che vìola le norme in materia di appalti pubblici.
Questi fenomeni elusivi perpetrati attraverso gli organismi partecipati dalle Amministrazioni pubbliche sono oggi contrastati da specifiche norme di legge, come quelle contenute nel D.lgs. 175/2016.
Tuttavia, anche prima dell’entrata in vigore del T.U.S.P. vigeva un principio elaborato dalla giurisprudenza comunitaria, che tutte le Amministrazioni pubbliche avrebbero dovuto tenere presente, secondo cui “coloro che operano prevalentemente con risorse pubbliche sono assoggettati alle regole della pubblica amministrazione a prescindere dalla forma giuridica che assumono”.
Questo principio traeva origine dalla Direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31/03/2004 relativa agli appalti che, al punto 9, definiva gli “organismi di diritto pubblico”, oggi disciplinati dal Codice dei Contratti pubblici.
Secondo questo principio non conta la forma giuridica assunta dal soggetto che pone in atto determinati comportamenti, bensì il fatto che utilizzi o meno risorse pubbliche in misura prevalente per svolgere la propria attività. Quindi, per esempio, anche un ente privato sarà tenuto ad osservare almeno i princìpi in materia di procedure ad evidenza pubblica per la scelta dei fornitori qualora utilizzi in via prevalente risorse pubbliche per lo svolgimento della propria attività. Per un approfondimento: Corte di Cassazione, sentenza SS.UU. N. 8225/2010 e dal Consiglio di Stato, decisione n. 7393/2010.